Inferno. Francesca.

Pubblicato: Maggio 1, 2011 in Uncategorized

Lo scorrere feroce dell’acqua calda; lo scontro di piatti e bicchieri nel lavello. La voce del telegiornale che parlotta in sottofondo.

In fondo la vita casalinga è un’ottima espressione del vuoto. Un buon allenamento per diventare astronauti, dovrebbero parlare di questo al telegiornale, non di guerre lontane o della diva di turno che cambia fidanzato.

-Mamma!-

– Che c’è?-

– Telefono. Papà.-

Stefano le era già arrivato a portata di cordless e ora le porgeva il telefono con un gesto svogliato. Da giorni le appariva più scostante del solito. Pronto? Tutto a posto sì certo, tu come stai, nevica a Boston?

(chissenefrega del tempo che fa a Boston. A malapena so dov’è Boston. Diciotto anni di matrimonio e l’unico argomento di cui riusciamo a parlare è il clima. Neanche so cosa ci sei andato a fare in quella maledetta città, quando parli del tuo lavoro lo fai solo per farmi capire che non ci capisco nulla. Sono passate due settimane e mi sembra solo ieri che sei partito, anzi, mi sembra quasi che tu sia di là in salotto, sprofondato nel divano con il giornale in mano che borbotti risposte telegrafiche a ogni mia domanda. Non fa grande differenza se ci sei o meno. Non so come siamo arrivati a questo e nemmeno mi interessa. Forse è questo che mi fa più male: rendermi conto che ormai ho smesso di chiedermi perché. Il lavoro, lo stress, la nascita di Stefano, un figlio unisce ma può anche dividere; oppure la società borghese, i mobili da montare, i piatti di porcellana, i sabati all’ipermercato, il film della domenica sera, il colore freddo del tuo pigiama e la curva triste che le rughe hanno dato al mio sorriso. Siamo caduti e basta, non c’è un colpevole. Siamo caduti e basta.)

–       Papà ti saluta- disse rivolta a Stefano-dice che a Boston nevica ancora. Una bella tempesta.-

–       Lo so, ho risposto io, non te n’eri accorta?-

Francesca asciugava i piatti con uno strofinaccio e li rimetteva uno ad uno nella credenza.

–       Scusa. Era tanto per dire.-

–       Lo so. Come tutto il resto.-

–        Sei nervoso. Cosa c’è?-

Gli adolescenti hanno sempre qualcosa che non va. Un brutto voto perché il professore li odia, la ragazza che gli ha preferito un altro, il migliore amico che inizia a frequentare compagnie da cui si sentono esclusi…alzò gli occhi verso Stefano e vide un uomo sconosciuto, che la fissava con uno sguardo d’accusa e compassione. Come si guarda una bambina che ha appena disubbito.

Così mi guarderà quando sarò anziana e incapace di badare a me stessa; così mi guarderà e allora saprò che è tutto finito.

–       Gradirei che cambiassi atteggiamento Stefano.-

–       Che atteggiamento?-

–       Hai capito benissimo. Mi guardi come se… se ti avessi fatti qualcosa.-

Stefano deglutì e lei rivide in quell’enorme massa di ricci castani il rassicurante bambino che accompagnava per mano al catechismo. Gli si avvicinò, si tolse i guanti e il grambiule; fece per passargli una mano tra i capelli ma lui si scostò in modo brusco.

–       Devo farti una domanda.-

–       Chiedi. Puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Abbiamo sempre parlato no?-

–       Che ci facevi in via San Gregorio la vigilia di Natale?-

Francesca sentì un sobbalzo nel petto.

–       Come dici? Non ricordo… hai detto via San Gregorio?-

–       Via San Gregorio, sì. Intorno all’una.-

–       Non ricordo.. forse ero in giro per gli ultimo regali, non so.-

–       Sarò più specifico: che ci facevi a casa dello zio?-

La televisione riempiva l’aria di risate finte, intervallate dalle battute di due comici poco ispirati. Stefano abbassò la testa. Parlava e tradiva vergogna, come un ladro che confessa il furto. Era necessario Stefano? Era necessario affrontare l’argomento, non potevi semplicemente far finta di aver visto male?

–       Ti prego non raccontarmi stronzate. Stavo andando dai miei amici, la metrò era chiusa perché un tizio ha deciso di farla finita sui binari, tra l’altro proprio di fronte a me. Credevo di non poter mai assistere a niente di peggio quando sono capitato di fronte a casa dello zio. Vi ho visti, nel cortile. Ho visto come vi siete salutati… non è così che ci si saluta fra parenti. Da quanto va avanti?-

–       Stefano…-

–       Da quanto va avanti?-

–       Io non so cosa credi di aver visto…-

La televisione sparò di nuovo le sue risate fasulle e Francesca vide il suo ragazzo afferrare i piatti rimasti sul tavolo e lanciarli contro la parete; si frantumarono come biscotti. Si sentì prendere per le spalle e scuotere:

–       Ho detto niente stronzate. Ma mi credi un deficente? Credi che papà sia un deficente? Da quanto va avanti?-

Francesca chiuse gli occhi. Da sempre, va avanti da sempre. Da quando l’ho conosciuto e ho pensato che era l’amore perfetto. Ed è per questo che quando si è fatto avanti l’ho rifiutato. Perché ci vuole coraggio per vivere l’amore più grande sapendo che domani puoi perderlo e ritrovarti nel nulla, senza più nemmeno la compagnia di te stessa. E io non ho quel coraggio, io non sono come le eroine romantiche di cui insegno a scuola, sono una vigliacca che ha scelto il fratello vigliacco per vivere una vita di sottobosco. Ed eccoci qui, non siamo la famiglia perfetta? Non abbiamo forse una bella casa, le vacanze assicurate, una macchina più potente del necessario? Vai a scuola con le scarpe firmate, non è abbastanza per te? No, non lo è, io ti sento, chiuso nella tua stanza, a lottare contro una chitarra che non suona nel modo giusto, a contorcerti tra le coperte invocando i tuoi demoni. E pretendi che io non abbia i miei? Non ho mai forzato la tua porta. Perché mi costringi a spalancare la mia?

   

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